Tratto da “AZIONE” Settimana dal 7 al 13 giugno 1956 – N. 24 • 8 pagina
Chi da Tesserete muove il passo sulla carrozzabile polverosa, ma che si snoda, come per incanto, sotto una galleria ombrosa di fronde di castagno, giunge nell’Alta Capriasca, a Bidogno, villaggio che sta come appollaiato sul versante con le sue cento case rustiche e cordiali; Bidogno già fu lodato da San Carlo Borromeo che trovò quella terra «bella di erbose pendici». Il paese in quel tempo faceva parte della parrocchia di Tesserete.
Dopo la visita pastorale del 1581, San Carlo emanò il decreto che doveva separare Bidogno e le sue terre da Tesserete e voleva l’erezione della chiesa dedicata a San Barnaba. La chiesa effettivamente venne edificata e l’arcivescovo Arcimboldi la consacrò. Ma l’Istituzione a parrocchia propria, Bidogno l’ottenne solamente nel 1639 da parte di Urbano VIII.
San Barnaba, che cade l’11 giugno di ogni anno, segna per il montano villaggio un giorno di intima e serena festa. È la sagra del paese che viene sempre celebrata per lo più la domenica successiva e reca, in tutta la vallata, da Lopagno a Roveredo, a Treggia, a Corticiasca, un’atmosfera insolita di festosità. È una giornata di viva devozione, anche un momento di distensione tranquilla per quella popolazione che, lungo l’arco dei mesi e dei giorni delle quattro stagioni, suda e lavora sulla magra terra.
Già qualche giorno prima che giunga la sagra, dal bel campanile che svetta alto nel cielo, dirimpetto alle caratteristiche montagne che circondano la valle, tra le quali si distinguono le Canne d’Organo e, più lontani, il Gazzirola e il Baro puliti sempre e lucidi, si staccano melodiosi i tocchi delle campane a festa. La gente dice che allora si «suona da torta» e la espressione, colorita e di sagace intuito popolano, rende magnificamente l’idea, poiché proprio per San Barnaba – eccettuato Natale – i contadini di quassù si danno da fare a preparare la frugale e nostrana torta di pane, ricca di cedro, di uva passa, di cacao, di pignoli e di zucchero.
Suonare da festa era nei tempi della nostra fanciullezza un’arte: e quest’arte, pur ingenua e alla mano, era prerogativa di giovanotti esperti che avevano dal curato il permesso di salire sulla torre campanaria; verso il tramonto i giovanotti e qualche uomo maturo si pigiavano entro le bifore, quasi come apparizioni irreali sotto un cielo di quarzo levigato, e dalle loro mani fioriva una melodia, un’armonia densa e vellutata di accenti, un andirivieni di note acute e gravi, un ricamo fittissimo di note che ci dava la sensazione che in quei giorni le campane avessero iniziato un loro strano colloquio. E il fraseggio sonoro non aveva sosta, neppure verso la notte, quando le stelle apparivano a illuminare le vie tenebrose del cielo. Sul campanile splendevano le lanterne, e fuochi roteavano di fuori in una sarabanda inconsueta. Era l’annuncio che San Barnaba s’avvicinava, che il giorno dei suoi miracoli si stava per spiegare; quando, poi, la vigilia era giunta, il concerto a festa si faceva di botto imperioso; e i colpi di battacchio della campana maggiore e della piccolina erano interrogativi gravi e dolci, ai quali rispondeva la mezzana, quieta, di una sua voce suasiva che diceva speranza e gioia.
Nel frenetico tinnire di note le massaie iniziavano la preparazione della torta. In casa c’era un gran trambusto in quei beati tempi che sembrano ormai fuori della memoria. La nonna, la prozia, la mamma cominciavano a schiacciare con forza, tra le mani, il pane messo a rammollire in acqua e latte qualche giorno prima. Lo si schiacciava entro ampie marmitte, nelle così dette conche di rame, fino a ridurlo in poltiglia. Quindi, ecco i succosi ingredienti che noi fanciulli, furtivi, cercavamo di carpire dai cartocci messi in disordine sulla tavola o sul cornicione del camino, oppure sulla cassapanca.
Non si faceva economia, allora; ma occorre rilevare che solo in quel giorno dell’anno non si faceva economia. In ogni famiglia appariva qualche cosa di più; già, era San Barnaba che provvedeva e faceva sì che niente mancasse in casa.
Quando la pasta color di fonda cioccolata era pronta, la si metteva nelle forme; e queste erano padelle e basse pignatte che poi venivano messe nel forno della famiglia. E il forno, l’antico forno di mattonelle rosse già da qualche ora era sotto l’azione del fuoco. Quando il braciere era sodo e compatto e il crepitio si faceva prolungato, era giunto il momento per porvi la pasta. Quindi, per tutta la notte, vi rimanevano a cuocere le numerose torte che appartenevano a più famiglie. Tradizione, purtroppo, anche questa che va scomparendo; e la torta di pane, sana e gustosa, resta quasi solo un nostalgico ricordo.
Però San Barnaba quassù, nel montano paese, all’ombra dei colossali castagni, sa ancora parlare all’anima della gente. Sicché ancora si «suona di torta» e la dolce leccornia ancora fa la sua apparizione nel giorno della solennità.
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Ma nel mese di giugno non soltanto si celebra la festa in onore di San Barnaba, Santo che è venerato oltre a Bidogno, a Pazzallo, a Brugnasco di Airolo, a Chiavasco in val Malvaglia, a Camperio sulla via che porta al Lucomagno, dove esistono piccoli e artistici oratori, mentre pure un santuario in onore del Santo si annovera a Tarnolgio sopra a Faido, in unione a San Matteo.
Altri Santi, ai quali la nostra gente si rivolge con preghiere e suppliche, ha il mese che consideriamo. Il 13 giugno, Infatti, si venera Sant’Antonio da Padova: a questo santo Taumaturgo sono dedicate numerose chiese nel nostro Cantone; tra queste ricordiamo i santuari di Gerso, di Cabbio, di Balerna, di Caneggio, di Morcote, di Brontallo. di Val Bavona, di Campo Valle Maggia, di Magadino, d’Anzonico, d’Ossasco, di Cavergno.
Nel 1865 i balernitani erigevano l’oratorio dedicato al Santo sul colle chiamato «Ceresa» che sta a cavallo tra Balerna e Novazzano. È un santuario che accomuna semplicità di linee e pregi rari che derivano dogli affreschi dell’atrio, in numero di quattro, e sono opera di un valente pittore di Tremona, Antonio Rinaldo. Datano del 1860. La statua di Sant’Antonio si -trova in una nicchia dell’altare; la popolazione, ogni venticinque anni, la porta in -processione; allora la festa assume un tono di calda austerità, di solennità senza pari.
Altra festività sempre cara al cuore della nostra gente è la festa di San Giovanni che cade il 24 di giugno; con particolare grandiosità la si celebrava a Contone, paesello ai piedi del Monte Ceneri. Tra le costumanze di un tempo ricorderemo quella della raccolta della camomilla in onore del Santo.
Ma ancora dobbiamo menzionare la festa di San Pietro e Paolo; essa viene celebrata il 29 giugno; carattere In solito assume in talune località tra le quali citeremo Bellinzona, Vira, Biasca, Quinto, Gravesano.
Quando queste sagre si succedono sul taccuino, ecco che l’aria che soffitta paesi e regioni si fa d’un tratto trasparente: è l’aria domestica, di casa, che viene raggiunta da attimi di quieta pensosità, vivificata dal sentimento religioso che sempre è desto tra la popolazione nostra e nei Santi vede i suoi protettori, i personaggi che sanno dare il conforto, la luce e la speranza, soprattutto nei giorni meno propizi che la vita ci riserva.
E ogni cuore esulta; le processioni che vengono tenute nei giorni della solennità hanno e recano un particolare senso di gioia e di purezza; e mentre la statua del Santo patrono viene portata a spalla dagli uomini sotto il baldacchino sgargiante di drappi e di veli, il canto delle litanie si fa coro, voce che emana dai cuori in letizia.
È questo, del culto del Santi, un peculiare aspetto del nostro paese in cui la fede è luce vivida che alimenta una perenne fiamma.